Rivista #231: Caricabatterie auto EVSE

Tra i contenuti del fascicolo 231 (Dicembre 2018/Gennaio 2019), attualmente in edicola, un articolo dedicato ai dispositivi EVSE, ovvero alle colonnine per ricaricare le vetture elettriche.

Chi ha un’auto elettrica o almeno ibrida, purché sia “Plugin” (ovvero ricaricabile dall’esterno) o si sia comunque interessato  all’argomento, ne avrà già sentito parlare. Detti anche Wall Box, EV Chargers, Colonnine di Ricarica o, volgarmente, “caricabatterie”, si tratta degli EVSE, acronimo di Electric Vehicle Supply Equipment.

La seconda “E”, che sta per equipment, esprime al meglio il senso di questo misterioso EVSE, perché in realtà si tratta di un dispositivo che fa un po’ di tutto, tranne quel che ci si aspetterebbe, ovvero gestire la corrente di ricarica come farebbe un normale caricabatterie; questo, perché in realtà tale azione è svolta dall’elettronica del veicolo.

Ciò detto, a cosa serve l’EVSE, Electric Vehicle Supply Equipment? In effetti la domanda sorge spontanea. La risposta è molto più ricca e articolata di quanto non sembri.

LA STORIA

Da quando esistono le prime auto elettriche ci si è posti il problema di rendere sicura la manovra di ricarica del mezzo. In pratica, gli stessi criteri e normative adottate per le pistole delle pompe di benzina dovevano inevitabilmente diventare il complemento analogo nella versione elettrica.

Ecco quindi che il “nostro marchingegno” è chiamato ad eseguire una lunga lista di azioni di controllo e verifica prima di consentire l’avvio dell’operazione di ricarica, in modo da scongiurare i possibili rischi che l’azione comporta.

LA SICUREZZA PRIMA DI TUTTO

Come sappiamo, acqua ed elettricità vanno poco d’accordo, ma l’auto deve garantire l’utilizzabilità anche sotto la pioggia e l’operazione di ricarica non fa eccezione. Ma l’auto è anche abbandonata all’aperto, alla mercé di eventuali vandali o  semplicemente ragazzini in vena di dispetti, quindi sono previsti dei sistemi di blocco dello sgancio dei connettori e un’idonea robustezza del cavo. Inoltre una macchina è una massa metallica che, se non è correttamente tenuta a potenziale di terra, può diventare una trappola mortale per chiunque la tocchi.

Poi c’è la questione delle alte correnti in gioco, che sviluppano facilmente calore quando la conduttività dei contatti non fosse più ottimale, quindi necessità di protezione da surriscaldamento e/o fuoco; è quindi necessario monitorare la temperatura dei connettori, sia lato EVSE, sia lato veicolo. Insomma, il sistema è pensato per essere sicuro. Molto, sicuro.

L’articolo prosegue con i seguenti argomenti:

I CAVI

LO STANDARD SUI CONNETTORI TIPO1 E TIPO2

I QUATTRO ‘MODI’ DI RICARICA (LEVEL 1…4)

LE FUNZIONI ESSENZIALI

LA REGOLAZIONE DELLA CORRENTE DI CARICA

 ALTRE FUNZIONI UTILI

Chi ha un veicolo elettrico o Plugin Hybrid (quindi ricaricabile via EVSE) sa che è molto utile conoscere la corrente di ricarica, e quindi la potenza con cui tale azione è svolta, per diversi motivi.

Prima di tutto, per evitare di far saltare il contatore di casa, soprattutto se ci sono altri carichi domestici collegati, ma anche per sapere quanto tempo si dovrà attendere per avere una carica completa: ad esempio se si sta caricando da una colonnina pubblica.

Nota la capacità nominale della batteria, ad esempio nel caso della Golf GTE sono 8,7kWh, togliamo la capacità residua che conviene sempre lasciare: impostando l’auto per non scendere mai sotto al 20% otteniamo circa 7,0 kWh.

Bene, questa è l’energia che dobbiamo introdurre per riempire il “serbatoio” elettrico dell’automobile, quindi se ricarichiamo a 10A, cioè a una potenza di 2,2kW (220V x 10A) sapremo che immetteremo circa 2,2kWh ogni ora che passa. In 7/2,2 = 3,2h circa, avremo quindi eseguito la completa carica. Se però caricassimo alla massima corrente/potenza che l’auto consente, cioè 16A, completeremmo la carica in 7:220:16 = 2 h.

L’auto presa ad esempio è una ibrida plugin, quindi la batteria è relativamente poco capiente (il costruttore dichiara con essa circa 45 km di cavallo fra funzionalità essenziali ed opzioni autonomia in modalità solo elettrica) ma ci sono mezzi elettrici puri come Nissan Leaf, Renault Zoe, Bmw i3, Hyundai Ioniq, Kia Niro, eccetera che hanno batterie da oltre 40kWh; per non parlare dei 70kWh e oltre di alcuni modelli Tesla.

Per caricare tali batterie serve parecchia potenza, soprattutto se dobbiamo completare una carica in tempi ragionevoli e impostare la giusta corrente di ricarica può essere molto importante. Ecco quindi che alcuni EVSE consentono di misurare ad ogni carica gli effettivi kWh riversati in quel serbatoio elettrico che è la batteria, anche per tenere sotto controllo un eventuale degrado della stessa, che si manifesta come perdita di capacità (si vede la capienza che diminuisce). Inoltre le versioni con connessione WiFi sono spesso abbinate ad una App software che consente anche di fare questi conti facilmente, traducendo in km di autonomia un certo tempo di ricarica applicato ad una batteria già parzialmente carica ed arrivando a dirci quanti minuti di ricarica servirebbero per poter percorrere un certo numero di chilometri.

EVSE CON FUNZIONI EVOLUTE

In Germania, dove gli impianti fotovoltaici sono molto diffusi, si trovano facilmente dei dispositivi di misurazione che consentono di misurare l’energia prodotta, quella auto consumata, e quella esportata in rete. Si tratta di sensori di corrente da applicare ai cavi dell’impianto che misurano la corrente e calcolano i relativi consumi, trasmettendoli via radio (sulla frequenza di 433MHz) a una centralina collegata via Ethernet ad un server che regista i dati e sul quale sono basate le App, che poi mostrano i grafici dei consumi. Un esempio è proposto nella Fig. 7.

Alcuni EVSE hanno un sistema simile per integrare i dati di  consumo per la ricarica dell’auto con quelli di consumo domestico in modo da consentire all’EVSE di impostare la potenza di ricarica dell’auto dinamicamente sempre pari al miglior valore disponibile ottenuto come differenza fra la potenza erogata dal FV (oppure, in assenza di autoproduzione FV, la potenza massima ottenibile dal contatore) e quella assorbita dai carichi domestici, ottimizzando la carica al massimo ed evitando  i fastidiosi distacchi del contatore.

In un EVSE evoluto poi, a volte è utile avere un calendario con la possibilità di stabilire una fascia oraria di avvio schedulato della ricarica perché, è  pur vero che molti veicoli hanno già funzioni simili, ma consentono di impostare solo l’ora di partenza prevista, non quella di avvio della ricarica (tempo che il veicolo aggiunge automaticamente) che, siccome dipende da quanta batteria è rimasta  dall’uso precedente, non è mai una costante. Alla fine ciò non permette l’avvio della ricarica programmata ad un tempo preciso usando il timer dell’auto, cosa che invece è facile e precisa se viene fatta fare all’EVSE.

COSTI E SPECULAZIONI

Se interpellate una qualunque concessionaria di auto, vi parleranno, uno per l’altro, di circa 1.500€ di costi per una Colonnina di Ricarica o Wall Box, come amano chiamarla; la cifra si intende installazione esclusa.

I marchi più blasonati sfiorano i 3.000€, ma parliamo pur sempre di EVSE, spesso con le stesse identiche funzioni. Certo, se state spendendo 30, 40 o 50 mila euro per un’auto elettrica, forse non farete troppo caso ai 2.000 € di costi per l’installazione dell’EVSE, ma se siete arrivati a leggere fin qui, avrete immaginato che il valore dell’hardware di un EVSE probabilmente non arriva a un decimo di quelle cifre.

Tutta questa speculazione ha aperto la strada all’ingegno dei maker ed ha scaturito una serie di progetti di EVSE più o meno Open Source, come quelli reperibili sul web a questi indirizzi:

– http://www.aprs.org/charging-DIY.html;

– https://www.openevse.com/;

– http://www.instructables.com/id/DIY-J1772-EVSE/

e mille altri che si trovano in rete cercando su Google, ad esempio, con la chiave “EVSE”.

L’articolo completo è pubblicato sul numero 231 (Dicembre 2018/Gennaio 2019), acquistabile in tutte le edicole.

 

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