Utilizzo del sensore di radiazioni GDK101

di Francesco Riggi e Paola La Rocca

Dipartimento di Fisica e Astronomia “E.Majorana”, Università di Catania, Via S.Sofia 64, 95123 Catania

 

Introduzione

La radiazione ionizzante è una delle componenti dell’ambiente in cui viviamo, sia che essa venga prodotta da cause naturali che artificiali. Esempi di radiazioni ionizzanti “naturali”, cioè presenti nell’ambiente indipendentemente dall’uomo, sono quelle dovute ai raggi cosmici o alla radioattività naturale delle rocce, mentre sorgenti “artificiali” di radiazioni possono essere quelle legate alla diagnostica e alla terapia in campo medico, al funzionamento degli acceleratori di particelle o agli elementi radioattivi prodotti artificialmente, cioè a seguito di attività umane. Gli esseri viventi convivono fin dalla loro origine con un livello di radiazioni naturali, ma è importante minimizzare per quanto possibile la dose di radiazioni assorbite da cause extra-naturali. La dose effettiva assorbita da un organismo, che dipende dall’energia depositata per unità di massa, nonché da un fattore di danno biologico per quella specifica radiazione, può essere espressa in μSv/h (microSievert per ora). E’ stato stimato che la dose effettiva media a cui un organismo è soggetto – a causa delle radiazioni cosmiche e della radioattività terrestre, principalmente dovuta al gas Radon – è di circa 2.4 mSv/anno (milliSievert per anno), equivalente a 0.27 μSv/h. La legislazione vigente stabilisce poi, in accordo con i risultati della medicina, quali siano le dosi massime ammissibili per le diverse tipologie di lavoratori.

Per la rivelazione delle radiazioni ionizzanti possono essere usate diverse tipologie di rivelatori, ciascuno dei quali ha caratteristiche che lo rendono più o meno adatto per segnalare il passaggio di certe radiazioni o per misurarne l’energia. Il contatore Geiger, ad esempio, introdotto circa un secolo addietro, è un tipo di rivelatore semplice, basato sul fenomeno della ionizzazione in un gas e sulla successiva moltiplicazione delle cariche prodotte, ed è particolarmente adatto per rivelare il passaggio di particelle cariche energetiche (raggi cosmici, elettroni,…), mentre risulta poco sensibile alla radiazione gamma (fotoni di alta energia).

Le radiazioni gamma peraltro sono importanti dal punto di vista ambientale e della protezione, perché possono penetrare anche attraverso spessori notevoli di materiale solido. Per contro, gli elettroni emessi da sostanze radioattive sono generalmente arrestati da spessori di pochi millimetri di metallo e le particelle alfa da spessori ancora minori, come un foglio di carta.

Se si escludono i raggi cosmici, costituiti prevalentemente da particelle di altissima energia, capaci di penetrare anche attraverso muri in cemento armato, la maggior parte delle radiazioni gamma di origine ambientale è dovuta a materiali radioattivi presenti nelle rocce e nei materiali da costruzione. Tra questi gioca un ruolo preminente il potassio, contenuto anche nelle pareti degli edifici. Uno degli isotopi del potassio infatti, il 40K, è radioattivo, e anche se presente in piccola percentuale (circa 0.01%) nel potassio naturale, costituisce una debole fonte di radiazioni. Il potassio è addirittura presente anche negli organismi viventi, inclusi gli esseri umani, con un ammontare di circa 140 g di potassio naturale (e dunque una quantità di 0.016 g dell’isotopo radioattivo 40K). Ebbene, anche questa piccola frazione di potassio radioattivo presente in un corpo umano produce un elevato numero di decadimenti, circa 4000 al secondo, costituendo la maggiore fonte di radioattività naturale negli esseri viventi. Le radiazioni emesse dal 40K sono radiazioni gamma, di energia pari a 1460 keV. Da questo punto di vista, è come se ognuno di noi rappresentasse una piccola sorgente di radiazioni, emesse dall’interno del nostro corpo in tutte le direzioni. Come detto in precedenza peraltro, tutti gli organismi viventi convivono fin dalla loro origine con questo livello di radiazioni, che rappresenta una sorta di fondo costante per il quale non c’è motivo di preoccuparsi, così come viviamo in presenza della luce del Sole e di una certa frazione di raggi UV.

Mentre la rivelazione dei raggi gamma richiede usualmente apparecchiature di un certo livello (scintillatori accoppiati a fotomoltiplicatori, elettronica sofisticata,..), negli anni passati è stato suggerito che anche un semplice fotodiodo PIN può essere convenientemente usato per la rivelazione di raggi X e gamma di bassa energia, e numerosi studi sono stati riportati sia in ambito accademico [1,2] che sotto forma di progetti applicativi in riviste di Elettronica [3,4], utilizzando singoli fotodiodi a basso costo e opportuni preamplificatori per la trattazione del segnale prodotto. Le dimensioni dei fotodiodi (sia in area sensibile che in spessore) sono in genere molto ridotte, il che rende la sensibilità di questi dispositivi molto minore rispetto a rivelatori tradizionali di radiazioni gamma basati su scintillatori. La possibilità di collegare più dispositivi in parallelo, almeno per aumentare l’area sensibile di rivelazione, è tuttavia ostacolata dall’aumento della capacità e dalla conseguente riduzione del segnale in uscita.

In tempi recenti sono divenuti disponibili sensori basati su array di fotodiodi PIN o schede complete dell’elettronica necessaria a gestirli. Una di queste, commercializzata a prezzi contenuti, è la scheda GDK101 [5] della FTLab, con un circuito preamplificatore e con la necessaria circuiteria per collegare la scheda anche a processori esterni, come ad esempio Arduino. La disponibilità su questa scheda anche dell’uscita analogica ha reso possibile uno studio delle sue prestazioni come rivelatore di radiazioni gamma (e beta), in particolare investigando la possibilità di rivelare livelli di radiazione al di sopra del fondo ambientale.

Dopo una breve discussione riguardante i fotodiodi PIN come rivelatori di radiazione, verrà descritto il setup sperimentale utilizzato e i risultati ottenuti con sorgenti radioattive calibrate.

I fotodiodi PIN e il loro uso come rivelatori di radiazione

I fotodiodi PIN (Tipo p, Intrinseco, Tipo n), che presentano una regione relativamente grande di materiale semiconduttore intrinseco (non drogata), contenuta tra la regione di tipo p e la regione di tipo n, possono anche essere utilizzati come rivelatori di radiazioni ionizzanti, in particolare di radiazioni gamma di bassa energia, di interesse per applicazioni di fisica ambientale. Studi pionieristici di questo tipo, effettuati con successo a partire dalla fine degli anni ’80, sono divenuti in anni recenti molto comuni, a causa del basso costo di questi dispositivi e delle buone prestazioni ottenute.

Tra i diodi, infatti, quelli aventi struttura del tipo PIN, specialmente se progettati per essere utilizzati come sensori di luce, sono particolarmente interessanti dal punto di vista della rivelazione di radiazioni, dato che presentano una geometria planare, e la presenza della regione intrinseca produce una regione di svuotamento – nella quale sono prodotte le cariche – di dimensioni maggiori, aumentando così la sensibilità alle radiazioni. Modelli commerciali di fotodiodi PIN utilizzati a questo scopo sono ad esempio i seguenti: S2506-04 (area sensibile 2.77×2.77 mm2), BPW34 (2.65 x 2.65 mm2), BPX65 (1×1 mm2), SFK00206-K (2.65×2.65 mm2). Le dimensioni della regione di svuotamento (depletion layer) dipendono dalla tensione di lavoro, e possono raggiungere valori di 100-200 μm. Una volta polarizzato opportunamente il diodo, le cariche prodotte in questa regione dal passaggio di una radiazione ionizzante possono essere raccolte per produrre un segnale. L’ampiezza di questi segnali è tuttavia molto bassa, per cui è necessario utilizzare uno stadio di pre-amplificazione ad alto guadagno e basso rumore. E’ inoltre necessario che il fotodiodo sia assolutamente schermato dalla luce, in quanto il segnale prodotto da quest’ultima potrebbe essere molto maggiore di quello prodotto dal passaggio di una radiazione ionizzante.

La possibilità che il fotodiodo PIN possa essere utilizzato per rivelare l’arrivo di fotoni (X o gamma) è legata alla probabilità che essi interagiscano nello spessore limitato della depletion layer. A differenza delle particelle cariche (ad esempio gli elettroni) che hanno una probabilità di interazione in un materiale solido pari al 100%, depositando una quantità di energia che è in prima approssimazione proporzionale allo spessore, le radiazioni X o gamma presentano una bassa probabilità di interagire con uno spessore piccolo di materiale. Un ulteriore effetto del volume limitato di questi dispositivi (circa 1 mm3 per i dispositivi elencati prima) è che non tutta l’energia della radiazione X o gamma incidente viene depositata al suo interno. Ad esempio, come riportato nella referenza [2] è stato stimato che radiazioni gamma da 662 keV (emesse da una sorgente di 137Cs, sorgente adoperata anche nel corso di questo studio) producono un deposito massimo di energia pari a circa 100 keV e che nella maggior parte degli eventi il deposito di energia non eccede qualche decina di keV. Questo giustifica il fatto che l’efficienza di rivelazione di questi dispositivi, cioè la frazione di eventi misurati rispetto al numero di radiazioni gamma che colpiscono il fotodiodo, sia in questo caso molto bassa, anche dell’uno per mille. Nonostante questo, come vedremo nel corso di questi test, è possibile ragionevolmente adoperarli come strumento per il monitoraggio delle radiazioni.

Descrizione del sensore GDK101 e dell’apparato utilizzato

Il sensore di radiazione gamma GDK101 della FTLAB, disponibile da alcuni anni sul mercato, anche presso rivenditori online, ad un prezzo inferiore ai 100 Euro, è un sensore di radiazioni allo stato solido, basato su un array di 10 fotodiodi PIN incapsulati. E’ dotato di un amplificatore di transimpedenza e della necessaria circuiteria per essere collegato anche ad Arduino o sistemi similari: una interfaccia UART, Universal Asynchronous Receiver-Transmitter, e un’interfaccia i2C (Inter Integrated Circuit). La scheda è tipicamente alimentata a 5 V (4-6 V, 10 mA). La fig.1, tratta dal datasheet [5] di questa scheda, ne mostra lo schema a blocchi.

Figura 1: Schema a blocchi del sensore gamma GDK101, tratto dal datasheet della scheda [5].

La scheda è dotata di 3 LED (verde, rosso e arancio), che segnalano rispettivamente il funzionamento regolare della MCU a bordo della scheda (con 1 flash/secondo), l’arrivo di un segnale al di sopra del valore di soglia e la segnalazione da parte del sensore di vibrazioni, che blocca per un tempo di 0.5 secondi il normale funzionamento della scheda. La Figura 2 mostra la scheda nel corso delle prove effettuate presso un laboratorio situato nel Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania.

Figura 2: Una foto della scheda GDK101 durante le prove effettuate nel corso di questo studio.

Dal datasheet risulta che il livello di rumore all’uscita dell’amplificatore è tipicamente di ±50 mV, valore relativamente elevato, che limita la possibilità di osservare e distinguere dal fondo segnali di piccola ampiezza. Quanto osservato all’oscilloscopio (Tektronix TDS2022C, un oscilloscopio digitale a due canali, da 200 MHz e 2 Gs/s) conferma i valori riportati dal datasheet, come mostra la Figura 3, con una tipica schermata ottenuta in condizioni di “fondo”, cioè senza alcuna sorgente posta nelle vicinanze del sensore stesso. Allo scopo di eliminare i segnali dovuti al fondo e contare solo i segnali di ampiezza più elevata, la soglia di discriminazione, secondo il datasheeet della scheda, è preimpostata a 96 mV, circa il doppio del livello di rumore.

Figura 3: Visualizzazione del segnale analogico in uscita dalla scheda GDK101, in condizioni di fondo
(assenza di sorgenti nelle vicinanze del sensore). Scala verticale: 100 mV/divisione, base dei tempi: 250 μs/divisione.

La scheda potrebbe dunque essere usata, opportunamente interfacciata con Arduino o sistemi similari, per contare il numero di eventi che eccedono questa soglia, fornendo una indicazione della dose di radiazioni presente. Progettare e montare da soli l’equivalente di questa scheda, in particolare un amplificatore ad altissimo guadagno e basso rumore, non è alla portata di tutti. Questo rende la scheda in questione, con le sue funzionalità e un certo numero di fotodiodi incorporati per aumentare l’area sensibile, un prodotto certamente interessante nel panorama dei sensori di radiazione.

In questo studio, anziché contare semplicemente il numero di segnali che eccedono il livello di fondo, abbiamo utilizzato l’uscita analogica del segnale prodotto dalla scheda, allo scopo di estrarre gli spettri delle ampiezze dei segnali, ottenuti con alcune sorgenti radioattive (gamma e beta), e confrontarli con lo spettro ottenuto in condizioni di fondo. A tale scopo, il segnale analogico prodotto dalla scheda è stato inviato, tramite uno “Shaping Amplifier” esterno (Modello ORTEC 572, un amplificatore tipicamente utilizzato per la trattazione di segnali da rivelatori di radiazioni, con un guadagno e uno shaping time regolabili) ad un ADC (Analog-to-Digital Converter). Per quest’ultimo è stato utilizzato un ADC a 2048 canali (11 bit), il modello Easy-MCA, direttamente collegato ad un PC tramite connessione USB e gestito dal software MAESTRO-32® della ORTEC [6], che permette l’acquisizione dei segnali, la visualizzazione in tempo reale e il salvataggio dello spettro delle ampiezze dei segnali stessi (istogramma delle ampiezze). Ulteriori potenzialità di questo ADC e del software associato rendono questo sistema un tool professionale, abitualmente utilizzato nei laboratori che utilizzano rivelatori di particelle, per la misura degli spettri di energia depositata nei rivelatori o per misure di tipo più sofisticato, eventualmente anche in coincidenza con l’arrivo di altri segnali.

 

Misure di fondo

In assenza di sorgenti radioattive poste in prossimità del sensore è possibile misurare lo spettro del fondo, da confrontare con misure condotte in presenza di una sorgente. E’ importante ricordare tuttavia che il fondo associato ad un rivelatore di radiazioni deriva sia dal rumore elettronico (ad esempio dell’amplificatore, oltre che del rivelatore stesso), sia da segnali fisici veri e propri, generati nel rivelatore da radiazioni presenti nell’ambiente in cui viviamo, come ricordato nell’Introduzione.

Premesso questo, è ragionevole attendersi, anche in assenza di materiali considerati vere e proprie sorgenti radioattive, un certo numero di segnali, soprattutto di bassa energia. Alcune misure di durata sufficientemente lunghe (qualche ora) in condizioni di fondo sono state effettuate con il setup sperimentale descritto in precedenza. Una di queste ha prodotto lo spettro riportato in Fig.4. Il grafico mostra, su scala verticale logaritmica (per evidenziare anche le regioni a bassa presenza di segnali), il numero di conteggi al minuto in funzione dell’ampiezza dei segnali, che è espressa in “canali” dell’ADC, proporzionali all’ampiezza effettiva del segnale di tensione all’uscita dell’amplificatore. La regione al di sotto di canale 30 è vuota, a causa della soglia sull’ADC impostata in questa misura, per evitare una frequenza di conteggi troppo elevata. A partire dal canale 30 la frequenza di segnali misurata è comunque sempre molto elevata, parecchie migliaia al minuto, ma essa diminuisce rapidamente per i segnali di ampiezza maggiore, fino a raggiungere valori dell’ordine di 0.01/minuto per canale (cioè un conteggio ogni 100 minuti) per i segnali con ampiezza intorno a canale 70. Da notare anche la forma dello spettro di fondo, che diminuisce esponenzialmente (e dunque linearmente su scala logaritmica). Tale spettro consente di valutare la sensibilità dell’apparato a rivelare segnali che eccedono il livello di fondo. Considerando la somma dei conteggi osservati a partire da canale 70 in poi, il fondo integrato, ottenuto dalla media di diverse misure, è risultato essere di (0.31 ± 0.07) conteggi/minuto, cioè di circa 1 conteggio ogni 3 minuti.

Data la sensibilità riportata nel datasheet del sensore (12 conteggi/minuto corrispondenti a 1 μSv/h), questo fondo corrisponderebbe a circa 0.02 μSv/h. Naturalmente questa è solo una parte del fondo effettivo, dato che molti segnali fisici dovuti comunque alla radioattività ambientale hanno un’ampiezza bassa e dunque ricadono al di sotto della soglia.

I valori estratti dalle misure di fondo consentono di stabilire la sensibilità dell’apparato verso segnali di ampiezza superiore a canale 70 in questo spettro. Per applicazioni dosimetriche, possiamo considerare che un valore almeno superiore a 3 volte il tasso di conteggio di fondo (dunque circa 1 conteggio/minuto dal canale 70 in poi) possa segnalare la presenza di un certo livello di radiazioni.

Figura 4: Spettro delle ampiezze dei segnali di fondo, ottenuto nel corso di una misura di durata approssimativa pari a 90 minuti.

 

Sulla scheda, come abbiamo detto, è preimpostato un valore di soglia (96 mV), apparentemente non modificabile, per il conteggio degli eventi, nel caso si interfacci la scheda con un sistema Arduino o similari. Questo valore, in base all’amplificazione utilizzata, corrisponde per l’appunto al canale 70 nello spettro ADC. Avendo a disposizione l’intero spettro misurato dall’ADC è possibile nel nostro caso valutare il tasso di conteggi di fondo, nel caso in cui si adoperasse una soglia più elevata (ad esempio con un discriminatore e uno shaper esterni alla scheda). L’andamento del tasso di conteggio in funzione del valore di soglia in canali è mostrato in Figura 5. In corrispondenza ad una soglia pari a canale 70, come analizzato in precedenza, troviamo un valore intorno a 0.3 conteggi/minuto; all’aumentare della soglia il tasso di conteggio di fondo si abbassa progressivamente, a 0.2 conteggi/minuto per una soglia corrispondente al canale 80, 0.15 conteggi/minuto per il canale 100, e così via. Data la linearità dell’ADC, possiamo assumere una proporzionalità tra valore di soglia originario in mV e canale dello spettro, pari a circa 1.37 mV per canale.

In una misura dosimetrica effettiva, il tasso di conteggi di fondo – stimato magari con precisione in base ad una misura di lunga durata – andrebbe sottratto dal tasso di conteggi sperimentalmente osservato, in modo da valutare l’effettivo eccesso di dose rispetto al fondo naturale. Avendo a disposizione lo spettro delle ampiezze dei segnali, come in questo caso, l’intero spettro dei segnali di fondo può essere sottratto, canale per canale, dallo spettro ottenuto in ciascuna misura. E’ la procedura che abbiamo seguito nell’analizzare le misure condotte con diverse sorgenti radioattive, come descritto nel seguito.

Figura 5: Valore del fondo (in conteggi/minuto) al variare della soglia (espressa in canali).
La soglia preimpostata nella scheda (96 mV) corrisponde al canale 70.
A titolo di esempio, una soglia più elevata, corrispondente al canale 80, produrrebbe un fondo pari a circa 0.2 conteggi/minuto.

 

Misure con sorgenti radioattive calibrate

Avendo a disposizione diverse sorgenti radioattive calibrate di bassa attività, normalmente utilizzate nell’attività didattica istituzionale del nostro Dipartimento, abbiamo condotto alcune misure con il sensore GDK101 ponendo di volta in volta la sorgente in prossimità del sensore stesso, come rappresentato in Figura 6. Presentiamo qui, a titolo di esempio, le misure condotte con due tipiche sorgenti radioattive, una sorgente di 137Cs emettitrice gamma e una sorgente di 90Sr/90Y emettitrice beta. Le caratteristiche di queste sorgenti e la corrispondente attività (numero di disintegrazioni/secondo prodotte dalla sorgente, unità di misura denominata Bequerel, Bq) sono riportate nella Tabella I.

Un tipico segnale analogico prodotto dal sensore utilizzando la sorgente di 137Cs è mostrato in Fig.7. L’ampiezza dei segnali che superano il fondo può raggiungere ampiezze fino a circa 300 mV, con una durata intorno al centinaio di microsecondi.

Figura 6: Posizionamento di una sorgente radioattiva di 137Cs (emettitore gamma, con energia pari a 662 keV) in corrispondenza dei sensori della scheda GDK101.

 

Sorgente

Tipo di emissione prevalente

Energia

Attività (in Bq)

137Cs

Gamma

662 keV

21800

90Sr/90Y

Elettroni

Distribuzione continua, fino ad un’energia massima di 2280 keV

21200

 

Tabella I: Caratteristiche delle sorgenti radioattive adoperate in questo studio, con il tipo di emissione prevalente,
l’energia dei prodotti di decadimento e il valore approssimato dell’attività (numero di disintegrazioni/secondo).

L’analisi dell’ampiezza dei segnali, nel caso della sorgente di 137Cs, che emette gamma da 662 keV, porta ad uno spettro come quello mostrato in Figura 8. Nella sommità superiore della figura è visibile lo spettro misurato sperimentalmente, mentre la parte inferiore mostra lo spettro sottratto del fondo. Mentre la regione di bassa ampiezza è ancora dominata dal fondo (come si vede dal confronto con la Fig.3), a partire da una certa ampiezza, all’incirca canale 70, è visibile un notevole contributo specificamente prodotto dai gamma emessi dalla sorgente, molto maggiore del contributo dovuto al fondo.

Figura 7: Visualizzazione del segnale analogico in uscita dalla scheda GDK101, in presenza di una sorgente di 137Cs posta sul sensore.
Scala verticale: 100 mV/divisione, base dei tempi: 250 μs/divisione.

Sommando infatti i conteggi da canale 70 fino alla fine dello spettro, una volta sottratto il fondo, si può stimare in questo caso un tasso di conteggio pari a 129 conteggi/minuto, da confrontare con un valore di fondo integrato nella stessa regione, come ricordato prima, pari a 0.3 conteggi/minuto. Se integriamo poi tutto lo spettro, dalla soglia dell’ADC (canale 30) fino alla fine, otteniamo in questo caso 627 conteggi/minuto. E’ chiaro dunque che in queste condizioni il contributo del fondo è trascurabile rispetto a quello della sorgente. Naturalmente questo è dovuto, oltre che all’attività della sorgente stessa, al fatto che essa è posta proprio in prossimità del sensore, per cui una grande frazione dei gamma emessi dalla sorgente riescono ad arrivare al sensore stesso.


Figura 8: Risultato della misura effettuata con una sorgente gamma di 137Cs posta in prossimità del sensore.
Lo spettro in alto mostra la distribuzione misurata delle ampiezze dei segnali, mentre quello in basso mostra il risultato dopo la sottrazione del fondo.

Sulla base di questi dati si può anche stimare grossolanamente una efficienza di rivelazione di questo sensore. Dato lo spessore intrinseco molto ridotto dei fotodiodi (circa 200 micron) la probabilità che le radiazioni gamma interagiscano effettivamente con il materiale, depositando dunque energia che può essere rivelata sotto forma di un segnale elettrico, è molto ridotta. La maggior parte dei gamma, infatti, penetra attraverso il fotodiodo senza depositare energia e dunque non viene rivelata.

Per stimare, anche se in modo molto approssimativo, questa efficienza di rivelazione si può assumere nel nostro caso che all’incirca il 10% dei gamma emessi dalla sorgente arrivino al sensore, dato che la sorgente si può considerare quasi puntiforme ed è posta a meno di un centimetro di distanza dal sensore. Considerando l’attività di questa sorgente (21800 disintegrazioni al secondo, con gamma emessi isotropicamente in tutte le direzioni), possiamo stimare che circa 130000 di questi gamma attraversino il sensore ogni minuto. Di questi, solo un migliaio al minuto circa danno un segnale (627/minuto misurati, oltre a quelli che danno un segnale al di sotto della soglia dell’ADC). L’ordine di grandezza dell’efficienza è dunque dello 0.1%, in linea con quello che ci si può attendere da calcoli di simulazione più sofisticati, che esulano dallo scopo di questo articolo.

In queste condizioni, con la sorgente posta in prossimità del sensore, abbiamo misurato una dose notevole, dell’ordine di 100 μSv/h, di molto superiore a quella del fondo naturale. Il sensore può misurare tuttavia livelli di attività molto più bassi, e avere pertanto una buona sensibilità per misure di tipo ambientale.

Per avere un confronto con quanto ci si può aspettare nel caso degli elettroni è stata adoperata anche una sorgente beta (lo 90Sr/90Y), emettitrice di elettroni. Nel caso delle sorgenti gamma, le radiazioni emesse sono monoenergetiche, cioè ogni sorgente emette gamma della stessa energia. Senza entrare nel merito della particolare distribuzione dell’energia degli elettroni emessi da una sorgente beta (che può essere calcolata utilizzando la teoria di Fermi del decadimento beta), possiamo dire tuttavia che questa distribuzione è continua, con energie che vanno da zero fino ad un massimo. Nel caso della sorgente di 90Sr/90Y questa energia massima vale circa 2280 keV. C’è un’altra importante differenza, nel modo in cui gli elettroni e i gamma interagiscono con il materiale del sensore. Gli elettroni, essendo particelle cariche, interagiscono con elevata probabilità (prossima al 100%), depositando una certa quantità di energia in base alla loro energia iniziale e allo spessore del sensore. Per questi motivi, possiamo attenderci che il numero di eventi rivelati dal sensore, a parità di attività della sorgente, sia maggiore rispetto al caso delle sorgenti gamma. In altri termini, l’efficienza di rivelazione sarà molto più elevata per gli elettroni che non per i gamma.

I risultati, mostrati in Figura 9, confermano queste considerazioni. La resa integrata è dell’ordine di 25000 conteggi/minuto, quella a partire da canale 70 circa 5400 conteggi/minuto, molto più elevata rispetto a quella della sorgente di 137Cs, nonostante l’attività delle due sorgenti sia comparabile. Gli elettroni provenienti da sorgenti beta, con energie dell’ordine delle centinaia di keV, tuttavia, possono essere fermati da spessori relativamente piccoli di materiale. A titolo di esempio basta una lastrina di alluminio da 3 mm di spessore per bloccare totalmente gli elettroni emessi da questa sorgente, che in questo modo non arriverebbero al sensore. Al contrario, i gamma possono penetrare anche spessori notevoli di materiale solido. Per l’alluminio, nel caso della sorgente di 137Cs, il coefficiente di assorbimento è tale che solo il 20 % dei gamma viene assorbito in uno spessore da 1 cm, mentre il rimanente 80% è capace di attraversare questo spessore.


Figura 9: Come per la Figura 8, nel caso della sorgente di 90Sr/90Y.

 

Conclusioni

A conclusione di queste misure, si può confermare che il sensore in questione, nonostante sia più sensibile ai gamma di energia molto bassa, è anche capace di rivelare la presenza di radiazioni gamma con energie nel range tra qualche centinaio di keV e 1-2 MeV, di particolare interesse per la fisica ambientale. L’efficienza di rivelazione è molto ridotta, dell’ordine dello 0.1%, come ci si attende peraltro per rivelatori al silicio aventi dimensioni e spessori limitati (volumi intorno al mm3). Efficienze più elevate possono essere ottenute infatti solo da volumi maggiori di materiale o da rivelatori basati su elementi chimici più pesanti, come gli scintillatori allo Ioduro di Sodio o al Fluoruro di Bario. Anche con queste efficienze di rivelazione, i fotodiodi PIN (singoli o combinati in array) possono essere utilizzati per misurare livelli di dose abbastanza ridotte, anche dell’ordine di 0.01-0.02 μSv/h. Questo è anche il caso del sensore in esame, utilizzando la soglia preimpostata, a condizione di effettuare misure sufficientemente lunghe (alcune ore). Tenendo conto dell’errore statistico associato al numero N di conteggi misurati, pari a √N, secondo le leggi della statistica, per avere un errore percentuale del 10%, occorre accumulare almeno 100 conteggi. Se volessimo rivelare un valore significativamente maggiore del fondo (ad esempio 1 conteggio/minuto rispetto ad un fondo di 0.3 conteggi/minuto), dovremmo attendere in questo caso 100 minuti, mentre misure molto brevi non potrebbero dare valori significativi a meno di non essere in presenza di radioattività ambientale elevata (sperabilmente da evitare).

 

Riferimenti bibliografici

[1] C.Bueno et al., Response of PIN diodes as room temperature photon detectors, Applied Radiation and Isotopes 61(2004)1343.

[2] M.A.Khazhmuradov et al., PIN photodiodes for gamma radiation, Radioelectronics and Informatics 4(2012)74.

[3] B. Kainka, Measure gamma rays with a photodiode, Elektor Magazine n.6(2011)22

[4] B.Kainka, Improved radiation meter, Elektor Magazine n.11(2011)20

[5] Per il datasheet della scheda GDK101 vedi ad esempio http://allsmartlab.com/eng/294-2/

[6] https://www.ortec-online.com/products/application-software/maestro-mca

 

 

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