Dalla fabbrica delle idee alla fabbrica delle cose

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Fa una certa impressione arrivare alla Fiera dell’Elettronica di Hong Kong dopo aver vissuto l’esperienza della Rome Maker Faire durante la quale si è cercato di capire, tra le altre cose, come, dove, e in che modo verranno fabbricati gli oggetti che utilizzeremo nei prossimi anni.

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Da queste parti gli oggetti vengono prodotti ancora in maniera tradizionale, in serie, e in milioni (se non in miliardi) di pezzi, in fabbriche con migliaia e migliaia di lavoratori. Dai porti asiatici questi prodotti raggiungono ogni angolo del mondo, entrano nelle nostre case e diventano parte della nostra vita quotidiana.

Le esportazioni della sola Hong Kong, territorio cinese autonomo con circa 7 milioni di abitanti, ammontano complessivamente a 364 miliardi di dollari, il 60% dei quali è relativo a prodotti elettronici, con una crescita su base annua del 6%. Un business che garantisce un reddito pro capite pari, se non superiore, a quello dei paesi europei ed un livello di disoccupazione praticamente nullo.

In altre parole, qui il modello industriale tradizionale continua a funzionare esattamente come in Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Giappone.

Un discorso a parte merita ovviamente la Repubblica Popolare di Cina, sia per le dimensioni del paese, che per i pochi anni trascorsi da quando l’economia si è aperta al mercato. Mentre da noi la disoccupazione giovanile è al 42%, in paesi come Hong Kong e la Corea del Sud è ancora fortissima la richiesta di tecnici e ingegneri e la disoccupazione è pari al 3% o poco più, praticamente inesistente. Non solo. Il sistema produttivo non si discosta dai modelli tradizionali, il capitalismo non viene messo in discussione da nessuno, e il welfare, lo stato sociale, funziona come da noi, se non meglio.

Tutto merito del cosiddetto “sistema paese”, che favorisce l’innovazione e la ricerca, supporta il sistema scolastico a tutti i livelli, premia e riconosce il merito e incentiva le imprese che creano lavoro e ricchezza.

Potremmo dire che creatività e innovazione la fanno da padrone ma che lo spirito di servizio, il senso civico e il bene della collettività vengono prima di tutto.

Che siano queste le cose che mancano al nostro Paese?

Che più che la mancanza di intraprendenza e la capacità di innovare, il nostro Paese sia da decenni alla mercé di una classe politica che pensa solo ai propri interessi ed a quello dei propri amici?

Che mortifica e umilia chi ha realmente voglia di fare, di intraprendere, di studiare?

Se così è (e ormai la stragrande maggioranza degli italiani ne è convinta), e se anche tutte le belle cose che abbiamo visto ed ascoltato alla Maker Faire di Roma diventassero realtà, non verremo a capo di nulla.

Ci penserebbero i nostri politici a distruggere tutto: un bel problema, soprattutto per i più giovani.

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