RoboCup Junior Italia: intervista a Giovanni Marcianò

A poche settimane dalla ripresa delle attività legate alla stagione 2012, abbiamo incontrato il Prof. Giovanni Marcianò coordinatore della Rete di scuole per la RoboCup Junior Italia.

Come e quando è nata la Rete di scuole per la RoboCup Junior Italia?
È nata a Taranto, precisamente a Didamatica 2008, il Convegno promosso annualmente dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica ed il Calcolo Automatico) che si propone di fornire un quadro delle ricerche, degli sviluppi innovativi e delle esperienze in atto nel settore dell’Informatica applicata alla Didattica, nei diversi domini e nei molteplici contesti di apprendimento. Quell’anno io coordinavo una sessione pomeridiana che si proponeva di fare il punto sul futuro della robotica nelle scuole italiane. Fin dal 2000 avevamo visto e documentato che i bambini e i ragazzi apprendevano in maniera più positiva quando avevano a che fare con i kit robotici anziché col PC e con altri strumenti multimediali, quando li costruivano e li facevano gareggiare tra loro.

In quel contesto nacque l’idea di organizzare ogni anno una manifestazione nazionale per diffondere l’utilizzo didattico della robotica nelle scuole, con un bando attorno al quale si sarebbero potute aggregare scuole di tutte le regioni italiane. In quegli anni nel nostro paese si organizzavano numerose gare di robotica, tante belle esperienze (Catania, Roma, Pisa, ecc.), ma che avevano tutte il difetto di svolgersi in ambito locale. Da questo punto di vista ci è stata d’aiuto l’autonomia scolastica che consente alle varie scuole di mettersi in rete e come rete abbiamo autonomia di ricerca e sperimentazione. L’obiettivo era quello di creare quel quadro nazionale in cui tutte le esperienze, nate e vissute a livello locale, potessero portare i loro frutti in un contesto nazionale condiviso da tutti. E se la Rete è nazionale, anche la manifestazione sarà nazionale!
Tra i vari modelli di gara, la scelta cadde sulla RoboCup che proprio quell’anno era in fase di evoluzione con nuove regole che, eliminando quelle che erano diventate soltanto delle prove di forza (quindi con molta meccanica e motori di potenza), riportava l’attenzione sulla sfida tra intelligenze, limitando anche i costi dei robot.
Da qui nacque il manifesto che fu mandato alle scuole che sapevamo interessate.

Dopo tre anni, qual è il bilancio di questa esperienza?
La manifestazione è cresciuta molto più di quanto immaginassimo. In questi tre anni abbiamo organizzato una manifestazione nazionale a Torino, una a Vicenza e una a Catania. Abbiamo avuto a che fare con tre contesti logistici, abbiamo girato l’Italia.
Abbiamo mantenuto aperto il discorso anche con chi all’inizio speravamo condividesse il progetto nazionale e che ancora non ne fa parte.

Quest’anno ho seguito personalmente tutte le gare ed ho notato come ci sia ancora questa separazione tra struttura nazionale e realtà locali che ancora non ne fanno parte. Pensa che anche per il 2012 continuerà questa rivalità?
Per quanto riguarda questo aspetto abbiamo firmato un protocollo d’intesa nazionale con tutti i soggetti interessati. Però alle firme debbono seguire i fatti. In ogni caso abbiamo demandato ai nostri superiori la risoluzione di questo genere di problemi.

Per quest’anno cosa si auspica?
Noi miriamo alla diffusione, non ci interessa che un nostro team vinca il campionato mondiale ma piuttosto che sempre più scuole partecipino a questa iniziativa.

Da questo punto di vista che tipo di azioni state facendo?  Nella nostra zona, ad esempio, dove ci sono molti ITIS e IPSIA ad indirizzo elettronico, questo genere di manifestazioni sono decisamente poco conosciute…
Negli anni passati la robotica educativa è stata spesso al centro della convegnistica e di articoli presentati sulle riviste specialistiche,  pubblicazioni che arrivano a tutte le scuole insieme alle comunicazioni del Ministero sulla RoboCup Junior. Mi ricordo almeno quattro dossier sull’argomento presentati sulle riviste del gruppo  Le Monnier. Se poi la segreteria non la passa al professore competente è un altro discorso, purtroppo noi non possiamo sanare i problemi della scuola italiana. In ogni caso le comunicazioni istituzionali ci sono. Da questo punto di vista è anche importante l’attenzione dei media, sia dei quotidiani nazionali che in occasione delle manifestazioni pubblicano sempre un articolo sull’evento, sia di riviste più specialistiche come la vostra che, con più costanza, si occupano di tutti gli eventi ma anche delle tecnologie.  È assurdo che scuole come quelle da lei citate non conoscano o non prendano parte a queste iniziative.

Effettivamente la nostra rivista viene inviata a tutti gli ITIS e gli IPSIA italiani; che poi vada all’insegnante giusto è un altro discorso. A proposito, quante sono le scuole nuove quest’anno?
Al momento abbiamo la scuola di Pescara e un paio di circoli didattici. Noi manderemo un invito a tutti quelli, non della Rete, che hanno partecipato alla gara di Catania proponendogli di entrare nella Rete.

Quali vantaggio ha una scuola che aderisce alla Rete?
Quest’anno stiamo inserendo dei meccanismi per cui, iscrivendosi alla Rete, la spesa complessiva sostenuta sarà, alla fine, inferiore a quella di chi partecipa solo alla gara nazionale.
Stiamo anche tentando di dare altri vantaggi alle scuole della Rete, per entrare nella quale è sufficiente la delibera del Consiglio di Istituto ed il versamento di una quota molto bassa. A quel punto, però, il dirigente entra automaticamente nel comitato direttivo mentre il docente entra nel comitato tecnico e può immediatamente usufruire delle comunicazioni tecniche che sviluppiamo all’interno della Rete, entra in un link di comunicazione con i suoi colleghi e, dovendo avviare un discorso di robotica nella sua scuola, riceve le informazioni tecniche per essere subito operativo. E nel percorso di preparazione della gara ha tutto il supporto logistico.
Abbiamo fatto di tutto affinché una scuola nuova che voglia entrare, non debba perdere – come gli altri – almeno 2 o 3 anni per acquisire l’esperienza necessaria. Anche la documentazione che renderemo disponibile per chi si iscriverà permetterà a tutti di partire al meglio: ci saranno i report tecnici di tutti i kit che hanno partecipato alle precedenti edizioni, le motivazioni che hanno portato a scegliere questo o quell’altro robot, i listati di programmazione, gli algoritmi e tanto altro ancora.

Questa struttura che vi siete dati quale tipo di evoluzione potrà avere in futuro?
Quando a Taranto ragionavamo sul futuro della robotica nella scuola italiana, la risposta era sempre la stessa: “Ci vuole un momento in cui le scuole che si stanno impegnando in questa attività possano confrontarsi, stimolarsi nel confronto, misurarsi, per andare avanti.”
La struttura nazionale poteva essere privatistica, come negli Stati Uniti, oppure universitaria, come per altre attività. Oppure poteva essere ministeriale: il Ministero già organizza gare di elettronica, informatica, gare delle varie specializzazioni degli istituti professionali.
Ma anche un’azienda privata che avesse promosso a livello nazionale una gara di robotica, poteva essere l’innesco che portava a quell’obiettivo, per noi importante, della diffusione della robotica nella scuola italiana. È un settore nuovo in cui la ricerca non finisce mai.
Attualmente nessuno di noi lavora a tempo pieno per la RoboCup, ognuno ha il suo lavoro e dà il suo contributo per passione perché crede in questo percorso. In tre anni questo meccanismo è diventato molto ampio e la tensione che c’è intorno al lavoro di preparazione è sempre maggiore. Con realtà differenti ed esempi molto positivi (come le scuole del Triveneto che hanno fatto le loro gare di selezione).
Ad oggi abbiamo maturato la validità della formula e tutte le scuole della Rete se sono ancora nella Rete è perché quello che hanno ricevuto è di gran lunga superiore a quel minimo finanziamento che hanno dato.
Il problema è ancora quello della dimensione, vorremmo che il modello che alla buona hanno fatto in Veneto venisse regolamentato, fermo restando che la finale sappiamo già dov’è ma aspettiamo di capire quanti posti Trento è in grado di supportare logisticamente.
In tutti questi casi ci occupiamo di tematiche di cui noi non siamo esperti. Ormai è arrivato il momento di dare all’organizzazione una struttura più seria sotto tutti i punti di vista.
Noi possiamo garantire le qualità di contenuto. Non solo i ragazzi ma anche i professori hanno imparato tantissimo dall’esperienza. Abbiamo riconfermato con la RoboCup che la scuola c’è, basta creare l’occasione! La potenzialità che i ragazzi hanno dentro riusciamo a farla esprimere.
Molti dei problemi che abbiamo affrontato sul campo non sono scolastici, ma logistici, organizzativi e finanziari e appartengono ad altre professionalità: se ci fosse l’azienda interessata ad occuparsi della parte logistica e organizzativa noi saremmo ben felici.
In occasione della finale mondiale, la formula RoboCup ha acceso le fantasie di molti, ma noi attualmente non siamo neppure in grado di supportare logisticamente una squadra che volesse andare all’estero.

Quest’anno prevedete dunque di effettuare delle gare interregionali?
Questo aspetto è legato ad un discorso numerico. Ritengo che sia necessario avvicinare quanto più possibile le gare alle scuole, soprattutto per quanto riguarda la categoria Under 14 (scarica il manifesto) che ha maggiori problemi logistici.
Un altro aspetto è legato alla capacità di fornire un’adeguata ospitalità che tenga conte delle nostre particolari esigenze.
Quando scadranno le iscrizioni, dopo il 31 gennaio, avremo i numeri e i dati per prendere questo tipo di decisioni. Ovviamente tutto ciò a prescindere dalla manifestazione nazionale che sappiamo già dove e quando si svolgerà.
Bisogna tenere presente che in questo genere di manifestazione ci sono delle regole ben precise da rispettare, norme e leggi che non si possono aggirare, ci sono persone che si assumono delle grandi responsabilità. E qui mi riferisco soprattutto sulla gestione della sicurezza.

In effetti anch’io ho constatato in alcune manifestazioni (non quelle da voi organizzate), delle gravi carenze sul piano della sicurezza …
C’è un discorso di legalità da tenere sempre presente, che tra l’altro deve essere condiviso anche dai ragazzi.
A tutto ciò aggiungo anche la necessità di lavorare per aumentare lo spirito sportivo di tutti; quest’anno vorremmo enfatizzare molto l’aspetto legato al fair-play.

Per quanto riguarda la categoria Under 14, ancora ai primi passi, come intendete procedere per coinvolgere maggiormente le scuole interessate?
L’anno scorso a Catania c’erano sette o otto squadre di Under 14 che purtroppo non abbiamo potuto seguire come avremmo voluto. Una grande occasione è stata invece quella del Theatre con la formula a distanza; abbiamo ricevuto dei bellissimi materiali che incrociavano la robotica con un percorso di burattini animati con musiche e scenografie di grande effetto.
Non so quanto questa pista sia percorribile dal momento che manca il confronto diretto, l’incontro tra ragazzi. Però piuttosto che niente, soprattutto se la scuola dispone di una valida attrezzatura, perché non sfruttare questa possibilità?
Per quanto riguarda l’aspetto economico, le scuole potrebbero sfruttare la gita di istruzione per partecipare alla RoboCup, facendo partecipare oltretutto anche i compagni di scuola e non solo il team in gara. Tutto ciò anche per sfatare il fatto che la RoboCup coinvolga un numero limitato di alunni e per evitare che i genitori di questi ultimi debbano affrontare la spesa sia per la partecipazione  alla tradizionale gita scolastiche che alla RoboCup.
Quest’anno siamo riusciti ad avere un insegnante che potrà seguire più da vicino le problematiche della Under 14, che sono diverse da quelle della categoria superiore anche se, come abbiamo visto a Catania, alcuni team di rescue Under 14 avrebbero tranquillamente dato del filo da torcere alle squadre delle superiori.

Effettivamente spesso queste iniziative rimangono un po’ isolate  all’interno della stessa scuola…
È vero che alla finale vanno in 4 o 5, ma noi ci occupiamo di Robotica Educativa e lo sviluppo del progetto dovrebbe essere per tutti.  Nei vari report evidenzieremo anche le scuole che hanno operato bene, che hanno fatto una selezione per decidere chi entra nella squadra, quelle che hanno organizzato delle gare interne al sabato pomeriggio per decidere i rappresentanti della scuola. Oltre a partecipare alla finale, c’è anche tutto quello che è stato fatto prima, con e tra i compagni. È il clima di classe e di scuola che cambia. Riteniamo che in questi tre anni gli obiettivi scolastici siano stati pienamente raggiunti. Vorremmo ora garantire la possibilità di far partecipare il maggior numero possibile di scuole ma anche quello di evitare gli sperperi.

Recentemente ho intervistato Massimo Banzi, uno dei fondatori del progetto Arduino, che sostiene che questo tipo di iniziative possono raggiungere lo scopo solo se provengono dal basso. Lei cosa ne pensa?
La nostra Rete a livello giuridico è l’organismo più debole del sistema istituzionale. Da questo punto di vista noi siamo la base. La nostra rete è democratica, le scuole che si iscrivono e iniziano a collaborare scrivono insieme le regole e scelgono insieme la scuola che avrà l’onere e l’onore di ospitare la finale. Oltretutto autofinanziandoci: noi non abbiamo avuto praticamente alcun contributo economico dalle istituzioni.
Anche se, a questo punto del percorso, forse è arrivato il momento di garantire perlomeno ai team e soprattutto ai giudici un riconoscimento economico per il loro impegno che è diventato oneroso e pesante. Anche perché la richiesta di garanzia di equità è un obiettivo sempre più sentito sia dalle squadre che dagli stessi giudici che dovrebbero poter essere liberi e tranquilli nell’arbitraggio. Per quanto riguarda le regole, al contrario della finale mondiale dove le norme tecniche vengono scritte e riscritte fino all’ultimo momento, noi decidiamo tutto entro la fine di novembre e lo mettiamo nero su bianco sul bando. In questo modo tutti sono a conoscenza (e possono organizzarsi tecnicamente) nel modo migliore per la finale nazionale, scuole, squadre e giudici.

Come e dove avete reclutato i giudici delle tre edizioni della RoboCup organizzate finora? E come vi comporterete in futuro?
Questo triennio è stato un laboratorio. Tre anni fa gli obiettivi che pensavamo difficili da raggiungere, dopo un anno erano già realizzati. Ora abbiamo una serie di esperienze documentate in maniera varia (filmati, registrazioni, ecc.); quest’anno abbiamo fatto preparare anche dei report scritti che si aggiungono ai vari siti delle scuole che hanno organizzato gli eventi. Penso che a questo punto sia arrivato il momento di pensare ad un soggetto che si occupi dell’arbitraggio in modo esclusivo. Nel nostro caso, l’arbitraggio è un problema molto delicato.
Se un gruppo di tecnici ed ingegneri di un’azienda o di un’associazione dicesse “facciamo noi l’arbitraggio”, non avrei alcun problema a dare loro l’esclusiva!
Il nostro obiettivo era – ed è – quello didattico, ma ci siamo trovati ad affrontare problemi organizzativi per i quali non eravamo attrezzati come quello dell’arbitraggio. Il primo anno c’era stata la Fidal che ci ha “prestato” un paio di arbitri di atletica per la rescue; se qualche federazione sportiva legata al calcio, all’atletica alla danza, ai tuffi o al pattinaggio artistico volesse impegnarsi in questa attività noi saremmo ben lieti di dare loro tutte le informazioni e la formazione necessaria.
Anche per quanto riguarda la logistica e le sponsorizzazioni, finora ci siamo mossi in maniera abbastanza dilettantistica.

Indubbiamente, visto il crescente successo della RoboCup anche dal punto di vista mediatico, sarebbe ora che qualche importante azienda si facesse avanti…
Purtroppo l’Ufficio Marketing a scuola non c’è! All’evento finale le grosse aziende ci sono più o meno tutte, però forse non siamo riusciti a spiegare anche a loro che oltre alla finale c’è tutto un percorso precedente altrettanto importante.
Noi sappiamo di cosa non siamo professionisti: marketing, creazione grandi eventi, comunicazione ed eventualmente ufficio estero per dare supporto ai team che vanno a disputare i mondiali. Queste cose sarebbe meglio che le facesse qualcun altro che abbia una competenze specifiche.

Affidare, dunque, a soggetti esterni questi aspetti?
A noi manca un soggetto che in maniera convinta segua questi aspetti. In questi tre anni abbiamo avuto contatti con aziende di vario tipo, tutte legate all’innovazione e alla robotica, e non abbiamo mai detto no a nessuno. Quello che ci manca è un soggetto che curi il marketing, interfacciandosi col mondo aziendale, ovviamente senza snaturare la nostra natura perché noi siamo “scuola”: se un’azienda volesse creare una partnership ed occuparsi di questi aspetti, saremmo ben lieti di cercare un accordo. L’autonomia scolastica permette di fare moltissimo, ci ha permesso di sconfiggere un immobilismo di anni. Noi abbiamo fatto partire il sistema: bisognerebbe ora che qualche sponsor condividesse l’ideale ed il percorso futuro. A volte non significa investire altri soldi, semplicemente investire meglio risorse che oggi finiscono in tanti piccoli progettini. Noi facciamo un lavoro da formichine, con poche somme creiamo qualcosa che alle scuole piace. Non abbiamo interessi commerciali e non abbiamo bisogno di creare budget. Se qualcuno vuole affiancarsi a noi, non può che farci piacere: in ogni caso lo deve fare con lo spirito del mecenate e non unicamente per scopi commerciali.
Servirebbe qualcuno che voglia investire sui giovani, sulla loro creatività, sul loro voler accettare le sfide che il futuro ci riserva. E la robotica è sicuramente uno degli aspetti del futuro.

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico delle gare, non sarebbe il caso di stilare classifiche differenti tra le squadre che utilizzano robot commerciali e quelle che autocostruiscono in toto (o quasi) i robot che fanno gareggiare?
Fin dall’inizio il nostro obiettivo era quello di diffondere la robotica educativa che è cosa diversa da quella professionale.
La robotica educativa, ragionando sull’obbligo scolastico fino ai 16 anni, coinvolge anche i licei come cultura dell’uso intelligente della tecnologia al servizio dell’uomo.
A questo proposito è significativo l’esempio della domotica la cui tecnologia è già matura ma che fa fatica ad affermarsi perché richiede da parte dell’utilizzatore una cultura digitale che egli non possiede.
Attraverso la RoboCup abbiamo scoperto che i ragazzi, quando sono chiamati a risolvere dei problemi, attivano tutto un incrocio di competenze che l’informatica non esaurisce del tutto. Per capire interpretare e programmare anche a livello domestico un semplice robot, occorre avere delle competenze. Abbiamo in casa potenzialità informatiche gigantesche, nei PC, negli smartphone,  ma ne sfruttiamo non più del 5-10%.
Nel 1997 il nostro Ministero elaborò un piano di sviluppo delle tecnologie didattiche, con l’obiettivo di portare nelle scuole i computer poiché a livello sociale le competenze informatiche sono importanti. Oggi sei cittadino anche perché sai usare il computer, sai accedere via Internet a vari servizi on-line, eccetera.
Se oggi sappiamo che la società del domani sarà basata sui robot è forse il caso di iniziare a capirci qualcosa. Nelle scuole di ogni ordine e grado.
Già nell’informatica l’obiettivo non è stato pienamente raggiunto: quante persone abboccano ancora alle truffe informatiche!
Con i robot sarà anche peggio dal momento che queste macchine possono fare danni … fisici!
La prudenza nel commercializzare questi oggetti sta anche nel fatto di capire le competenze di coloro a cui vengono venduti questi prodotti.
Il piano del ministro Berlinguer di portare l’informatica in tutte le scuole, da quelle dell’infanzia fino alle superiori, fu realizzato in 4 anni con uno stanziamento di fondi che prima venivano ripartiti in tante piccole iniziative, in tanti piccoli rivoli. L’obiettivo è stato raggiunto solo in parte perché, al di là di voler portare i computer nelle scuole, è mancata la formazione degli insegnanti che dovevano insegnare la tecnica e la cultura d’uso, che è l’elemento chiave della scuola, dell’insegnamento.

È un po’ il concetto di fondo del progetto Arduino: avvicinare la tecnologia alle persone semplificandone i concetti e nel contempo far capire come la tecnologia può essere utilizzata per risolvere i problemi.
Anche noi stiamo lavorando in questo modo ma più che sulla tecnologia abbiamo lavorato sulle interfacce: quando ad un bambino dai la lingua italiana per programmare il suo robot, dai a quel bambino la capacità di comunicare con l’oggetto tecnico che poi ti ubbidisce se hai scritto bene il codice. Lavoriamo sulle interfacce perché siamo convinti che bisogna insegnare alle persone  ad utilizzare la tecnologia utilizzando quanto più possibile le cose più semplici, la lingua italiana o il linguaggio grafico ed iconico. Oggi la robotica educativa dovrebbe essere finalizzata ad una corretta cultura d’uso della tecnologia, ad imparare ad utilizzare un oggetto con cui puoi, appunto, grazie alle potenze della tecnologia ed alla semplicità delle interfacce, programmare senza grandi corsi specialistici. Questa cultura d’uso va poi a riverberarsi sul tuo essere cittadino in un mondo in cui, domani, troverai questi oggetti  al tuo servizio.
Gli alunni di oggi non possono uscire dalla scuola senza avere una cognizione di quello che si sta sviluppando. Strumenti che non sono più solo meccanici, ma sono anche dotati di intelligenza propria con cui debbono essere in grado di interfacciarsi.

Anche  il team di Arduino sta lavorando a Modkit, un linguaggio visuale molto semplice, simile a Scretch dell’MIT, uno strumento che dovrebbe consentire a tutti di programmare facilmente. E attorno a questo progetto stanno formando un gruppo di insegnanti…
Da vecchio formatore e progettista di corsi di formazione di insegnanti, se devo dare un consiglio, oggi la formazione la si fa sul campo, si impara facendo. Se loro hanno dei prototipi e dei progetti da provare li mettano a disposizione della Rete RoboCup!
Anche sul piano tecnico abbiamo creato un gruppo di docenti in grado di dare moltissimo; chi oggi viene coinvolto nella RoboCup per la prima volta non parte troppo indietro rispetto a tutti gli altri. Se vogliamo far crescere il sistema scuola dobbiamo beneficiare tutti delle scoperte che si fanno. L’open source come regola non è solo del software ma anche delle strategie: come si organizza una squadra, se si fa in orario o extraorario, come si progetta un robot, come si scrive il firmware… molte scuole della Rete l’hanno documentato e reso disponibile. L’esperienza qualcuno l’ha già fatta… traine immediato beneficio! Ma una volta che hai appreso ed evolvi il modello, rendilo disponibile agli altri.
Arsenio Spadoni

Ricordiamo alle scuole interessate che la scadenza per aderire alla Rete di scuole per la RoboCup Junior Italia  è fissata al 30 settembre 2011.
Tutte le informazioni relative e la scheda di adesione sono disponibili sul sito: http://www.robocupjr.it/.

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